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      Scritto da Prof. S. Giannitto - Amministratore  31/12/2010
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    I fatti di Avola
    Una pagina di storia sindacale e sociale che non può e non deve essere dimenticata perché al di là del dolore e del lutto, deve essere da monito a quanti, da politici e da sindacalisti non sanno prevenire il disagio sociale e non sanno dare risposte alle giuste istanze dei cittadini.
    A partire dal settembre del 1968, la forza bracciantile di Avola , assieme a quella di Carlentini e Lentini faceva sentire la propria voce organizzando cortei, manifestazioni e scioperi per protestare contro le precarie condizioni di vita nel mondo agricolo.
    Dal punto di vista dell’ordine pubblico, la situazione iniziò a farsi sempre più drammatica il 24 novembre del ’68, quando i braccianti di Avola e dintorni, che percepivano 300 lire meno di altri braccianti che svolgevano lo stesso lavoro in altre campagne, decisero,  di bloccare la statale 115, nella speranza che si potesse trovare l’accordo, grazie all’intervento del prefetto aretuseo. Ma i proprietari terrieri fecero orecchi da mercante, pur di non cedere sulle 300 lire che , però, gli stessi davano ad altri braccianti in altre aree della stessa provincia. Il blocco statale resistette fino alle 14 del 2 dicembre per  culminare nella morte di due braccianti manifestanti (Angelo Sigona e Giuseppe Scibilia ) lungo la statale che si innesta sull’ingresso nord di Avola, dove si trova attualmente l’ Ospedale.
    Negli scontri furono feriti altri quarantotto braccianti, di cui cinque gravemente. La spiegazione ufficiale della polizia fu la seguente. Un reparto celere, fatto venire apposta da Catania, aveva lanciato petardi lacrimogeni per vincere la resistenza dei braccianti i quali reagivano lanciando sassi verso i poliziotti, mentre il fumo causato dai lacrimogeni, a causa del vento contrario, investiva gli stessi poliziotti. Per tutta risposta, i celerini, imbracciate le armi, sparavano contro la folla dei braccianti pallottole vere, non a salve – come avevano pensato in un primo momento i lavoratori. Alla fine della sparatoria, furono raccolti tre chili di bossoli. L’unico a pagare per i morti di Avola fu l’allora questore di Siracusa, Politi, che pur non avendo dato l’ordine di sparare, venne immediatamente rimosso dal ministero dell’Interno, Restivo, mentre il prefetto, con maggiori responsabilità di Politi, fu addirittura promosso.
    I testimoni ricordano ancora la grande confusione che regnò in quel momento. La gente fuggiva da tutte le parti, ambulanze e sirene della polizia, slogan contro la carica della polizia e braccianti presi da rabbia e paura per quanto era successo.
    L’ennesimo esempio di come una manifestazione di civile protesta possa trasformarsi in tragedia quando la fomentazione, orchestrata ad arte da forze estranee o da infiltrati, genera irrazionalità non controllabile.
    A distanza di quarantadue anni, il mondo universitario, rischia di rivivere la stessa atmosfera ( e i fatti di Roma lo dimostrano) in quanto coloro che intendono sfruttare certe situazioni per scopi di strategia personale o di gruppo, sono sempre in agguato: politici o frange estreme, che niente hanno a che fare con le giuste istanze dei cittadini, se non l’interesse a creare le condizioni per il verificarsi di fatti estremi, che spesso sfociano in tragedie.

     

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