Scritto da Prof.ssa Giuliana Maria Magno 10/03/2011 | |
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In una fredda e piovosa giornata di febbraio trascorsa al Cinema - Teatro “Politeama” di Pachino per l'assemblea d'Istituto, dopo avere raccolto negli ultimi mesi mille pensieri, ho scritto qualche pagina di ricordi su questo anno da insegnante nella mia terra natia, dove ho vissuto fino ai 18 anni e in cui non avevo ma lavorato prima. Come Ulisse di ritorno da Troia e come nel capolavoro di Giuseppe Tornatore “Nuovo Cinema Paradiso” ho percorso un nostos (= ritorno) all'incontrario dopo 22 anni a Roma, dove mi sono trasferita per motivi di famiglia e dove ho studiato all'Università con la speranza di diventare un'archeologa e lavorare un giorno in Soprintendenza, per scoprire e proteggere al fine di non disperderli, come vediamo oggi in televisione a proposito dei paesi in guerra, quanti più siti archeologici siciliani possibili. Veramente il mio sogno proibito era quello di combattere contro i tombaroli e i contrabbandieri di opere d'arte e, a dirla tutta, il sogno di ogni giovane siciliano della mia generazione che ha dovuto lasciare la propria terra è stato quello di combattere la mafia e di tornare un giorno in una Sicilia migliore, più efficiente e pulita, non solo per mangiarsi gli arancini e i dolci che a Roma e Milano non sanno fare. Addirittura il sogno di molti romantici che siamo, noi siciliani, è stato anche quello di ricevere intimidazioni mafiose, proprio come le vittime della mafia che hanno accompagnato la nostra adolescenza prima con il loro lavoro e poi con la puntuale notizia giornaliera dell'omicidio del Dalla Chiesa o del Mattarella di turno, notizia che puntualmente veniva dimenticata dal trascorrere normale della vita quotidiana. Sogni nati durante le assemblee d'Istituto al Liceo Vittorio Emanuele II di Palermo e durante gli innumerevoli “scioperi contro la mafia” che si organizzavano sia per necessità sia perché, a volte, non sapevamo che inventarci per non entrare a scuola... Ma questi sogni sono nati per me soprattutto tra le pagine dei libri di studio, quando mi appassionavano davvero, e li hanno coltivati in noi i professori, quando sapevano entrarci nella mente e nel cuore. Erano celati nei versi dell'Antigone, nei racconti di padre Puglisi, nelle spiegazioni di Storia dell'Arte sulla Sicilia greca ed araba che seguivo con passione anche all'ultima ora, quando solitamente gli altri preparavano gli zaini, pronti per andarsene a casa. L'anno che mi sono trasferita, il 1992, è stato quello dei delitti Falcone e Borsellino (a giugno, proprio quando ho lasciato il porto di Palermo salutata dai miei compagni di scuola) e del mio professore di religione, padre Giuseppe Puglisi (a settembre, quando le scuole riaprono), della cui dolcezza conserverò sempre il ricordo. Normalmente a Roma fino all'anno scorso, soprattutto dopo la disgrazia del mobbing ai miei danni da parte di una preside a Genzano di Roma, che mi ha costretto ad un anno in malattia tenedomi lontana dal mio lavoro ma per fortuna anche da adolescenti vandali e pericolosi, sono spesso andata a pregare in due chiese romane dove sono conservate due icone di don Pino: San Bartolomeo all'isola Tiberina e Santa Maria dell'Itria a via del Tritone. Almeno dalla sua immagine ho ricevuto un po' di conforto, anche se da tempo avverto il messaggio che la vita è fatta di grandi sofferenze, ed in effetti ogni volta che penso a padre Puglisi mi giungono una serie di disgrazie... coi miei compagni di classe avremmo detto in palermitano: “miiii che attasso!” (oh che sfortuna!). E pensare che nel settembre del 1992 fui io a dare a loro da Roma la notizia del suo omicidio, nel giorno del suo compleanno, nel quartiere palermitano di Settecannoli. Altro che cannoli... Oggi il prete antimafia è ricordato nel Giardino della Memoria di Ciaculli, dove crescono i prelibati mandarini cosiddetti “tardivi”: è forse proprio il nostro destino quello di possedere grandi risorse ma spesso di rimanere indietro con l'orologio della storia. Eppure ci consoliamo riconoscendo che non è colpa nostra, ma dell'amara sorte che per tante ragioni storiche la nostra terra e i suoi abitanti hanno dovuto subire. Per fortuna la scuola ci aiuta a crescere, insegnanti e studenti: basterebbe non rifare gli stessi errori del passato. Tornare in Sicilia è stata una scelta maturata per diversi motivi, primo fra tutti cercare un rifugio da una serie di problemi dovuti ad un richiamo scritto ingiusto fattomi il giorno del mio onomastico (quasi come per padre Puglisi) da parte di una cattiva dirigente, a causa del quale ho sofferto terribili problemi di salute, e inoltre un desiderio intimo e profondo di tornare a casa, cercando tranquillità nei luoghi dove solitamente trascorro le vacanze estive e che, pur non essendo nata qui, mi sono divenuti familiari. Tornare in Sicilia dopo tanti anni è stato un “tuffo nel passato” (nel paese del pomodorino la battuta è d'obbligo!) talmente commovente da meritare qualche pensierino scritto. Intanto sono tornata nella mia terra d'origine occupando l'altra parte dell'aula, quella dei professori, e posso fare confronti lucidi e profondi con il tempo della mia adolescenza, quando non mi sarei mai permessa di offendere un insegnante o di metterne in discussione la figura istituzionale, al di là delle sue competenze o della sua “bravura” che comunque, da discente, non mi sarei mai permessa di giudicare. Tanto qualcosa da un adulto la impari sempre: anche a non essere come lui. Oggi è tutto diverso e gli studenti spesso si permettono di criticare un professore fino a metterlo nei guai solo perché non concede loro di uscire dall'aula per andarsi a fumare una sigaretta o perchè gli mette cattivi voti o lo richiama, con la speranza di farlo crescere. Eppure io credo di avere sempre dato tanto alla scuola ed agli adolescenti, forse perché non avendo figli ho proiettato su di loro la protezione e l'affetto (ed anche le ansie, attirandomi spesso derisione) che non ho mai potuto riversare su una famiglia tutta mia... ma nonostante questo, devo dire, ho raramente ricevuto un trattamento adeguato, subendo da alcuni alunni gravi atti di maleducazione, una costante impreparazione su argomenti spiegati mille volte e neanche un saluto. Idem dalle loro famiglie. A proposito dei giovani pachinesi mi piace raccontare come la mia scelta del trasferimento qui è stata dettata da una attenta osservazione degli “usi e costumi” (anche qui per un luogo di mare la battuta è d'obbligo!) della giovane popolazione locale, che mi “diverto” (per deformazione professionale) a studiare ogni estate in diversi contesti e situazioni. Direi che il prototipo di giovane in età scolare senza casco (quando non in tre sul motorino) e con regolare sigaretta in bocca è l'immagine che mi ha spinto a trasferirmi qui e a lavorare sul “sangue del mio sangue”, visto che a Roma non sempre sortisco buoni risultati, essendo per primi gli adulti a boicottarmi. Ma ugualmente mi hanno convinto le passiatine serali estive a Marzamemi di graziose fanciulle sorridenti e di bei giovani vestiti bene, sani e spensierati, armati soltanto di cono gelato. Ebbene, almeno da questo punto di vista devo dire che nelle mie tre classi non c'è neanche un fumatore e mi piace pensare che la mia presenza in classe è stata preventiva. Lo stesso per l'educazione: l'accoglienza e la comprensione nei miei confronti sono state molto positive. D'altra parte questo è il paese non solo del prelibato ciliegino ma anche delle tenerezze, parafrasando il nome di una fresca verdura locale. Quando tornerò a Roma sarà drammatico e vivrò nuovamente lo sradicamento lancinante che mi accompagnò vent'anni fa segnando inequivocabilmente tutta la mia esistenza. Eppure nutro nei confronti di Pachino, a dispetto delle sue origini antichissime, una certa diffidenza: appena giunta qui, un decennio fa circa, trovavo l'accento simile a quello trapanese e, documentatami sulla storia locale e apprese le origini greco-maltesi dei pachinesi ai tempi degli Starrabba, non li consideravo nemmeno dei veri siciliani. Inoltre anche l'impatto con la gente che incontravo per strada non è stato dei migliori: mi sentivo osservata come una straniera e la cosa mi addolorava. Non l'ho mai detto a nessuno: avrei rischiato dei seri problemi di socializzazione! Morale della favola: all'inizio dell'anno molti miei studenti, interrogati sulla geografia siciliana, non sapevano nemmeno dov'è Trapani, ma in compenso la storia di Pachino è diventata per me sempre più affascinante, tanto da approfondire quanto avevo studiato per interi giorni in biblioteca a Roma: ho scoperto ad esempio che Alessandra, la figlia del ministro del Regno Antonio di Rudinì, fu amata da Gabriele D'Annunzio per poi essere abbandonata e decidere di farsi suora. Così come diversi luoghi, dalla grotta di Calafarina al fantomatico sepolcro di Ecuba localizzato qui dalle fonti antiche, mi hanno ispirato una rivisitazione tutta femminile della greca terra di Demetra, che qui vagò alla ricerca della figlia Persefone rapita da Plutone. Risultato: la donna siciliana non è più decisamente quella di una volta... forse ora è quella di due o tre volte, ma meglio per lei! Di certo, se posso permettermi, la sigaretta in bocca non la rende veramente femminista e neanche emancipata, ma solo un tantino sgradevole. Quanto a Kore, non avendone una mia ho preso “in prestito” le proserpine di altri madri, ma pazienza... per adesso mi basta così! Tanti spunti di riflessione mi sono giunti in questo nuovo (e antico) tempo siciliano lavorando con i miei studenti: la difficoltà di attuare i propri sogni in quanto donna per la figura della sorella di Shakespeare, inventata da Virginia Woolf, la “madonna” nobile e bella di Jacopo da Lentini, mio conterraneo (sono sempre stata orgogliosa del primato linguistico della Scuola Poetica Siciliana), il modello ormai famoso della bellezza nostrana osservato in tante studentesse e donne che vedo ogni giorno, portato in auge da varie Miss Italia e da firme di moda isolane come Dolce e Gabbana. Così come il talento della cantantessa Carmen Consoli (quanti talenti ci sono a scuola!) o di una classica icona del cinema come Monica Vitti, bella ed ironica al tempo stesso. Modelli positivi che mi hanno indotto a riflettere sulla donna di oggi e sui problemi che la riguardano, come il femminicidio o l'infanticidio riportati di recente dai giornali, ma anche su quello che di buono hanno fatto quelle di noi che se ne sono andate: d'altra parte la Triskeles è una donna con tre gambe, quindi bisogna farla camminare lontano... “Eh, cusciulera!”, diceva mia nonna con una punta d'invidia tutta femminile... Auguro infatti ogni giorno ai miei alunni di imporre le loro idee positive e di spargersi nel mondo conquistando con il bene, la cultura e l'educazione lavoro, titoli ed onori... Per il resto ho ritrovato la gentilezza e la generosità che avevo lasciato vent'anni fa, ma anche alcuni dei caratteri affrescati dai principali autori letterari che hanno reso la Sicilia luogo di inequivocabile valenza culturale, anche per la sua storia così stratificata. Ho ritrovato il gallismo di cui parla Vitaliano Brancati, l'estrema povertà mostrata con dignità e l'irrinunciabile sete di giustizia narrata da Verga, la nobiltà dei modi tutta siciliana ereditata dai dominatori che ci hanno posseduto, come messo in scena da Tomasi di Lampedusa, quel senso filosofico ed ineluttabile di tragedia e disfacimento presente in Pirandello che porta l'individuo a perdere l'identità se non alla follia, come mostrato da alcuni fatti di cronaca avvenuti quest'anno, ad esempio l'infanticidio da parte di una madre di Santa Croce Camarina, una sorta di Medea dei nostri giorni. La donna del gineceo di tradizione greca e la prefica pronta a piangere oggi forse si ribellano ai soprusi maschili, che spesso sopportano tenendoli celati con vergogna. Per non parlare della pluralità di caratteri inscenata da Andrea Camilleri, che ha reso quest'angolo dell'isola teatro dei suoi gialli, e dell'attaccamento che ci rende “ostriche” anche nel terzo millennio, nonostante le incomprensioni familiari. Il senso della famiglia è qui ancora molto forte, a dispetto dei tempi. E purtroppo ho ritrovato anche i problemi legati al malfunzionamento della cosa pubblica, qui a Pachino evidente soprattutto nel problema dei rifiuti, delle strade sfasciate e pericolose, della poca chiarezza su alcuni servizi pubblici: come al solito nessuno sa niente e proporne un'argomentazione a qualcuno che speri ti possa capire a volte diventa subito tabu'. I ragazzi almeno sono diversi: la loro voglia di cambiare in meglio e la schiettezza senza paura tipica di chi è buono e pulito e sa di essere nel giusto sono di grande stimolo per il mio lavoro di insegnante (e non sarebbe diversamente fuori di qua). D'altra parte i nostri giovani d'oggi non hanno mai visto i corpi insanguinati riversi sui sedili in pelle delle macchine trucidati dai mafiosi, per fortuna loro: almeno questo gli è stato risparmiato e, come ho potuto notare, la mafia non gli interessa nemmeno, non la sentono forse neanche parte della loro storia. Lo stesso per l'antimafia, di cui spesso ho parlato. Di certo ai vecchi atavici problemi legati alla nostra indole (ironicamente il caldo, il vulcano e il traffico di cui parla Benigni in “Johnny Stecchino”!) se ne sono aggiunti di nuovi, e non certo lievi, come la presenza di un folto gruppo di immigrati che forse mostrano di non avere per il loro nuovo paese lo stesso interesse che ha la gente che vi abita (una buona parte), ma le cause legate alla povertà ed alla guerra nei loro paesi di provenienza e quella minima speranza di lavoro che questa gente ripone nell'Italia fanno sì che la convivenza sia pacifica nonostante le differenze sociali e religiose. Un tempo ci avrebbe pensato Apollo Libistino a regolare il flusso di immigrati... E' per tutto questo che ogni piccola “conversazione in Sicilia” vissuta quest'anno con i miei alunni delle classi IG e II G del Liceo delle Scienze Applicate e III A ITIS sono state per me una delle cose più piacevoli e formative del mio percorso di insegnante e di donna, così come i momenti ricreativi e di festa con tanto di torte e dolci buonissimi che hanno reso la scuola più piacevole e serena. Grazie ai miei studenti che quest'anno sono stati la mia famiglia. F.to Giuliana Maria Magno (insegnante di Materie Letterarie) |
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