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      Scritto da Administrator  08/03/2014
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    Generation WarGeneration War
     (in tedesco: Unsere Mütter, unsere Väter, letteralmente "Le nostre madri, i nostri padri") è una miniserie TV tedesca in tre parti prodotta dalla ZDF; È andata in onda per la prima volta in Germania e Austria nel marzo 2013, mentre in Italia è stata suddivisa in due parti (andate in onda per la prima volta su RAI 3 venerdì 7 e sabato 8 febbraio 2014).

    Trama

    Costruito come una sorta di versione tedesca di Band of Brothers, Generation War è in realtà molto di più.

    La storia si estende per cinque anni, partendo dal 1941 fino all'immediato dopo guerra.

    Nel '41 a Berlino, nel retronegozio di un bar cinque amici tedeschi, dai 18 ai 21 anni, pieni di speranza si salutano: sono tutti ad un bivio della loro esistenza. Ci sono due fratelli che indossano la divisa della corazzata dei “levrieri” della Wehrmacht, Wilhelm e Friedhelm. Il primo, il maggiore, è un graduato intriso di valori guerreschi, , il Siegfrid della situazione. Il secondo è un idealista tutt’altro che convinto della necessità della guerra. Sono in procinto di partire verso il fronte orientale. Anche l’infermiera Charlotte sta per andare verso est: sarà impegnata negli ospedali da campo che seguono a distanza l’avanzata delle truppe del Führer. E poi ci sono Greta, aspirante cantante con il mito di Marlene Dietrich, e il suo fidanzato Victor, un giovane ebreo.

    Il festino d’addio si svolge in perfetta tranquillità, potremmo trovarci dovunque in Occidente e in qualsiasi momento del Novecento, se non fosse che un ispettore delle SS bussa alla serranda del locale, attirato dal ritmo della vietatissima musica swing che allieta il convivio.

    I cinque non paiono troppo scossi. Si danno appuntamento per il natale successivo: la Russia capitolerà nel giro di sei mesi, prima dell’arrivo del generale inverno, si assicurano l’un l’altro. Persino l’ebreo Victor si dice ottimista, e spera che, una volta tolto di mezzo Stalin, le campagne antisemite si placheranno.

    Da questo momento in poi, le cinque vite testimoniano per cinque lunghi anni il lento scivolare verso la barbarie. Inutile dire che il fato e la guerra mischieranno i destini e le carte in tavola, mettendo a dura prova le convinzioni, i principi, e a volte l’identità stessa dei vari personaggi sballottati  al di qua e al di là del fronte sovietico.

    Critiche

    Secondo il giornale The Economist nessuna fiction in Germania ha mai causato tanto dibattito tra il pubblico. Malgrado alcuni apprezzamenti piuttosto positivi, la fiction ha ricevuto critiche molto severe riguardo l'aspetto storico, in particolare il ruolo della Germania nell'olocausto, sottolineando che la miniserie ha occultato questo aspetto; un'altra critica è legata all'antisemitismo, nella fattispecie la miniserie avrebbe dipinto i partigiani polacchi come più antisemiti dei soldati tedeschi.

    Dal nostro punto di vista, la chiave di lettura sta proprio nel titolo originale della fiction “Le nostre madri, i nostri padri". Il titolo, infatti, rievoca la domanda che assillò le generazioni successive al nazismo (“Cosa facevano i miei genitori durante il nazismo? Si resero complici dell’orrore?”), che produsse rimozioni nei primi decenni e conflitti durissimi negli anni Sessanta e Settanta e proprio la trama che in apparenza sembrerebbe allontanarsi colpevolmente dalla fedeltà ai fatti rappresenta invece l’elemento chiave che definisce tutto il valore sociale e storico del film

    Generation War vuole essere, infatti, una cruda testimonianza di una generazione tradita dalla cieca fiducia nei padri e da questi mandata al massacro.

    È la storia vista con gli occhi del popolo tedesco, è il racconto della loro inesorabile, lenta distruzione, di una morte che la generazione dei figli non ha avuto la possibilità di piangere, possibilità che ora viene restituita a quella dei nipoti.

    Tutto il tour de force mozzafiato tra ospedali da campo, trincee, praterie, foreste, macerie, ferrovie e villaggi sperduti trova la sua ragion d’essere nell’immagine del sacrificio finale di Friedhelm, di una morte che rende finalmente possibile un dialogo tra generazioni distanti settant’anni.

    Non è infatti solo una morte eroica, oltre al suo significato apparente e letterale, essa svela il suo senso allegorico: la spettacolarizzazione della sconfitta davanti agli occhi delle nuove generazioni.

    La morte si trasforma così in significante, segno di una muta presa di coscienza, incomunicabile se non attraverso le deviazioni e i ricongiungimenti della trama che la traduce infine in messaggio rivolto allo spettatore: so quello che ho fatto, muoio da eroe, ma consapevole di non esserlo.

    Non lo faccio per particolare dedizione al Reich o per difendere la patria. Lo faccio perché la necessità degli eventi mi ha reso la persona che sono ora. Lo faccio per dimostrare a voi la vacuità assoluta di tutto ciò.

    (Riccardo Antonangeli)

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